Nella nebbia di Milano: uno studio ciclo-etnografico – Note del 09/03/2018
Edda Orlandi Università degli Studi di Milano
Qui in Milanesia la stagione delle nebbie è quasi giunta al termine, e presto si celebrerà l’inizio della stagione delle zanzare (che coincide più o meno con l’inizio della nostra primavera). Durante questa stagione si intensificano i viaggi rituali in bicicletta (noti come La Biciclettata Della Domenica) verso i più remoti confini dell’arcipelago milanesiano.L’inizio della stagione delle zanzare segna però, ahimé, la scadenza per inviare il mio primo report al comitato finanziatore, seccante ma necessaria incombenza al fine di ottenere i necessari contributi economici per proseguire la mia ricerca. Contributi economici tanto più necessari per il mio aver incautamente reclutato un assistente di ricerca sindacalizzato, che, appena assunto, ha subito proclamato uno sciopero della ricerca precaria per ottenere un aumento della preventivata retribuzione di mezza michetta al giorno, con minestra di verze domenicale.
Lì per lì mi è sembrato un po’ esoso. Ma poi, ricordandomi di essere precaria anch’io, ho prontamente aderito allo sciopero. È proprio il caso di dirlo, l’unione fa la forza: dopo aver un po’ tergiversato, il comitato ha esaudito la nostra richiesta di aumento dei fondi. Credo soprattutto per non fare la figura dei pezzenti con i colleghi milanesiani, il cui arcipelago è situato in uno Stato noto per la bassissima spesa pubblica per l’università. Insomma i nostri finanziatori non volevano fare la figura di essere ancora più sotto-finanziati dei nostri nativi, per preservare la gerarchia postcoloniale. Peccato che alla fine ho dovuto cedere sull’ottenimento di questi fondi extra solo dopo la consegna del sopra citato primo report, mentre al contrario l’assistente ha immediatamente messo fine alla solidarietà sindacale pretendendo da subito un aumento della razione di cibo giornaliera. L’ingordo!
Ad ogni modo bisogna dire che ora che mangia meglio, il ragazzo è molto più efficiente. Mi sta aiutando a raccogliere una serie di fotografie di biciclette milanesiane che hanno lo scopo di documentare una intuizione molto promettente emersa dalle mie prime osservazioni sul campo: il ruolo della bicicletta come artefatto che ha innanzitutto una funzione estetico-simbolica per così dire “statica”, prima ancora che essere un mezzo per il trasporto e l’attività sportiva. Questo aspetto della cultura milanesiana sembra essere stato in gran parte ignorato dagli studiosi, ma è un’interpretazione ampiamente suffragata dal grande numero di biciclette esibite nelle vetrine, alle pareti di bar e ristoranti, in mostre e musei; numero forse addirittura maggiore di quelle circolanti nelle strade.
La mia prima ricognizione evidenzia una tale pluralità di contesti in cui le biciclette sono esposte come oggetti di ammirazione e culto che un’interpretazione sufficientemente approfondita dei multiformi significati simbolici della bicicletta appare un compito quanto mai arduo. Questa prima esplorazione ha per il momento evidenziato tre aspetti rituali principali dell’ostensione ciclistica:
- L’esposizione museale come modo per riaffermare il ruolo sacro della bicicletta ma allo stesso tempo veicolare la legittimità della sua esibizione anche in botteghe e luoghi di svago pubblici, in cui le antiche tradizioni locali vengono reinterpretate alla luce del loro inserimento nei flussi globali di merci e persone (si vedano i punti sottostanti).
- L’esposizione della bicicletta, preferibilmente antica, come rimando a una milanesianità di antico lignaggio e prestigio della capanna in cui è esibita, riadattata bar a seguito della recente inclusione della Milanesia nei circuiti turistici internazionali.
- L’affermazione che l’attività commerciale che espone la bicicletta in vetrina appartiene a un Big Man locale, coinvolto nel cerchio rituale delle Biciclettate Della Domenica come ciclista devoto ed esperto, ruolo riaffermato durante i giorni feriali in cui è fermo in bottega grazie a questa esposizione.







