Luciana d’Arcangeli Flinders University
Ricordo che quando decisi di scrivere la tesi su Dario Fo
e Franca Rame
, correva l’anno 1996, molti miei amici italiani cercarono di dissuadermi: “non si fa al tuo livello.
Chi citi se la ricerca che vuoi fare tu non l’ha fatta nessuno?”, “sono ancora vivi! Possono smentire quello che scrivi in qualsiasi momento e tu che figura ci fai?”, “ti metti a scrivere del ‘grande vecchio’ comunista e di una femminista… ora? Sei pazza!”. Come sa bene chi fa ricerca, però, quando il “tarlo” di un’idea, per quanto improbabile, malsana o insensata possa essere, si è fatto strada nella tua curiosità è quasi impossibile metterlo da parte.
Nel mio caso, poi, il tarlo era particolarmente “fortunato” in quanto nessuno all’epoca si sarebbe aspettato che l’anno dopo il premio Nobel per la letteratura sarebbe meritatamente andato proprio a Dario Fo, che lo ha dedicato a Franca Rame per poterlo condividere con lei.
Quando viene conferito un simile onore in accademia si passa dallo status di “minore” a “maggiore”, quindi indirettamente si aprono porte anche ai ricercatori affetti da un si lungimirante tarlo. Il “bencapitato” vede il suo lavoro arrivare quindi su scrivanie impensate, sottoposto ad uno scrutinio per il quale non era in fondo pensato, e si trova catapultato prima ad intervistare e poi a spezzare il pane con le persone sul cui lavoro, fino a ieri, aveva solo versato inchiostro. La distanza – da sempre solo fisica – si chiude. Già, perché la scelta del tarlo non è mai veramente casuale. Il nostro interesse naturalmente poggia dove esiste una qualche risonanza tra noi e la materia trattata o la persona prescelta, che sia di comuni esperienze, principi o credenze. Se le circostanze lo permettono cresce un legame che travalica generazioni, circostanze personali e geografiche.
Ecco, dopo tanti anni, ho trovato una ragione valida per la quale forse non avrei dovuto continuare nelle mie ricerche: i legami sono spesso destinati a spezzarsi, con il dolore che questo comporta.
Franca Rame ci ha lasciato da poco più di un mese e Dario Fo al suo funerale laico ha condiviso con gli astanti un monologo inedito scritto da sua moglie sulla scelta che Adamo ed Eva – in realtà Eva, come ben sappiamo – han fatto a suo tempo nel paradiso terrestre e che recita così:
Per quanto mi riguarda, Padre, io ho già deciso… Io seguo il secondo albero, quello delle mele. Se devo essere sincera io non… – Dio, non offenderti – a me, dell’eternità non mi interessa più di tanto. Invece, l’idea di conoscere, sapere, avere dubbi mi gusta assai! Non parliamo poi del fatto di potermi abbracciare a questo maschio che mi hai regalato. Mi piace! Da subito ho sentito il suo richiamo e mi è venuto un gran desiderio di… cingermi… – cingermi… che bella parola che ho scoperto! – cingermi con lui e farci, come si dice, l’amore… farci l’amore. So già che questo amplesso sarà la fine del mondo! Ti dirò che appresso, il fatto che mi toccherà morire, davanti a tutto quello che ci offri in cambio, la possibilità di scoprire e conoscere vivendo.. beh, mi va bene anche quello. Pur di aver conoscenza, coscienza, dubbi e provare amore ben venga anche la morte.
Se questa citazione vi incuriosisce, vi invito a leggere Franca Rame. Non è tempo di nostalgia di Joe Farrell, il mio mentore scozzese, che ha avuto l’occasione di parlare con Franca a febbraio e raccoglierne le memorie in un bel libro uscito proprio ieri – ne ho letto le bozze, fidatevi.