Stefano Bona Flinders University
A due settimane dal voto che più d’ogni altro ha ingarbugliato la matassa politica italiana, ancora non si sa – se c’è – chi possa avere il coraggio di prendere in mano una delle patate più bollenti della storia della repubblica, in altre parole: provare a formare un governo. Inutile girarci intorno: si tratta di un atto d’eroismo. Chiunque si trovi a dover gestire l’esecutivo, dovrà barcamenarsi fra una maggioranza minoritaria, un’opposizione che si muoverà secondo i risultati delle vicissitudini medico-giudiziarie del suo capo, e un movimento che non è disposto per principio a fare accordi con alcun partito. Insomma, eroismo sì, e forse anche un po’ di masochismo, ma nient’altro, perché cosa potrà fare un governo con le mani e i piedi legati, gli occhi bendati, le orecchie tappate e la bocca imbavagliata? Ma soprattutto, come sarà fisicamente questo governo? Di “inciucio” fra Pd e Pdl, il Pd non vuole sentir parlare. Un altro governo tecnico, sono ben pochi a volerlo. Un governo “grillino”, nessuno lo appoggerebbe. A nuove elezioni non si può andare, perché siamo nel semestre bianco del presidente della repubblica, e in ogni caso non porterebbero a risultati migliori finché la legge elettorale avrà un soprannome suino. Al momento non c’è nemmeno un papa che possa intercedere per una giusta soluzione. L’unica cosa certa è l’assoluta incertezza.
Appunto. L’incertezza, la provvisorietà, l’improvvisazione e l’arte di arrangiarsi: i grandi difetti e allo stesso tempo le grandi virtù degli italiani, popolo di geniali sregolati, abituato dalla sua travagliata storia a pensare al proprio orticello piuttosto che al bene comune. Forse è anche per questo che il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 addetti ( dati Istat 2009 ), ed è così difficile per loro “fare sistema” quando si rivolgono ai mercati internazionali. Ciò che è grande e strutturato viene visto con sospetto (e spesso funziona male), e le regole appaiono ostacoli da evitare come i paletti nello slalom gigante. L’Italia, con le dovute eccezioni, sembra ancora ragionare (spesso per necessità) secondo il principio del “meglio un uovo oggi che una gallina domani”: il problema è che, quando si naviga attraverso una crisi, le uova finiscono, e anche i pollai rischiano di restare vuoti. Evidentemente, alla maggior parte della popolazione fa comodo che la cose vadano avanti così, altrimenti non si spiegherebbero le innumerevoli crisi politiche attraverso cui è passato il paese, così come non si spiegherebbe la cronica incapacità di scegliere una classe dirigente all’altezza della situazione. Anche questa volta, tuttavia, l’Italia troverà il modo di andare avanti, “all’italiana” come ha sempre fatto.
Ma prima che molti guai diventino irreparabili, è tempo che gli italiani comincino a guardare oltre i muri del proprio giardino, per scoprire ciò che altrove è già noto da tempo, e cioè che è il senso civico a tenere in piedi un paese e a farlo funzionare. Se non c’è interesse per ciò che è pubblico; se l’interesse è limitato al me (e tutt’al più alla mia famiglia, nemmeno troppo allargata), qui e ora; se non c’è la capacità di pensare alle conseguenze future delle proprie azioni e decisioni odierne; e se manca la voglia di progettare a medio-lungo termine (5, 10, 20 anni, cominciando insomma a vedere il futuro come un’opportunità anziché come una minaccia), allora l’Italia si troverà sempre ad affrontare emergenze (politiche, sociali, ambientali, economiche) a ripetizione, invece di prevenirle per incanalare le proprie energie in qualcosa di più costruttivo. Forse è anche per questo che gli esiti del voto di febbraio sono stati così diversi in Italia e all’estero: gli italiani residenti all’estero hanno una visione più disincantata del loro paese, proprio perché sono in grado di confrontarla direttamente con altre realtà che questi concetti li danno per scontati (e certamente non hanno vissuto la crisi nazionale sulla propria pelle). Ed è per questo che gli altri paesi e la stessa Unione europea faticano davvero a capirla, l’Italia.
Per concludere, finché gli italiani non riusciranno a guarire spontaneamente dalla propria certezza di essere un popolo di sessanta milioni di casi particolari, allenatori, presidenti del consiglio e amministratori delegati della Fiat; finché non riusciranno a liberarsi dalla convinzione che nessuno li può capire; e finché non supereranno definitivamente una mentalità ancora troppo legata al proprio tornaconto personale, il paese forse non affonderà, ma sicuramente continuerà ad annaspare. E’ vero, 150 anni di unità sono pochi per guarire da vizi secolari o addirittura millenari, ma pur sempre sufficienti per assimilare, con un poco di volontà, i concetti di Italia, popolo italiano e di evoluzione del paese. È arrivato il momento di smettere di annaspare e imparare a nuotare. Già, ma come? Chi può smuovere gli italiani? Chi può aiutarli a diventare consapevoli delle proprie potenzialità? I loro connazionali all’estero, per esempio. I professionisti e i “cervelli in fuga” ancora legati al proprio paese. I quali non dovrebbero buttarsi nella politica spiccia, ma semplicemente bussare alla porta della loro casa natale, provare a farsela aprire, spiegare pazientemente e nella stessa lingua (al telefono, sulla carta stampata o sui social networks ) come e perché funzionano i paesi che “ce l’hanno fatta”, e soprattutto come e perché l’Italia può diventare un paese migliore. C’è già chi si è mosso, ma dovrebbe diventare un’azione organizzata per poter essere efficace. Un compito non da poco, ma oggi più che mai necessario, se non vogliamo ridurci a parlare dell’Italia solo al passato e a celebrare la festa della repubblica il 2 novembre, anziché il 2 giugno.
(foto di apertura: http://www.italialive.org/wp-content/uploads/2012/12/40578_abusivismo-edilizio.jpeg
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Alcune letture sull’argomento
Alesina, A., Ichino, A. (2009). L’Italia fatta in casa: Indagine sulla vera ricchezza degli italiani. Milano: Mondadori.
Sciolla, L. (1997). Italiani. Stereotipi di casa nostra. Bologna: Il Mulino.
Tullio-Altan, C. (1997). La coscienza civile degli italiani. Valori e disvalori nella storia nazionale. Udine: Gaspari.