Edda Orlandi Milano
In questa mia rassegna ed elogio della panna nella cucina italiana non posso esimermi dal dedicare un post alla crème de la crème, o meglio alla panna delle panne, la Panna Cotta.
©2013 sara e luca orlandi
Imprescindibile fine pasto nei menu di tutte le pizzerie e trattorie italiane (è ammesso, chiaramente, il derogare alla scelta del dessert pannoso se per primo si sono ordinate penne&panna ) è uno dei dolci al cucchiaio italiani per eccellenza, e senza dubbio una delle tanto declamate “opere d’arte che tutto il mondo ci invidia” – insieme, naturalmente, al suo inseparabile compagno di banco nei suddetti menu, il tiramisù (che pure ha come principale ingrediente un derivato della panna, il mascarpone). Del resto, come vuole il detto lombardo, “la buca l’è minga straca se la sa no de vaca” (la bocca non è stanca se non sa di vacca, vale a dire di latte), la cui interpretazione dominante rimanda all’idea che un pasto come si deve richiede di essere concluso con del formaggio, ma che si può applicare senz’altro anche alla panna, e alla panna cotta in particolare.
La panna cotta è dunque la prova inconfutabile che scardina definitivamente l’idea che la panna sia un alimento esotico non facente parte della “nostra tradizione”. In effetti, tanto radicata è l’idea che la panna non c’entra niente con la cucina italiana – e tale egemonia dei puristi dieta-mediterannei nella cultura culinaria italiana – che io stessa, rimasta per oltre vent’anni nella erronea convinzione che la panna cotta avesse origini francesi (e da dove altro potrebbe venire un dolce al cucchiaio a base di panna e ricoperto di caramello, se no?), avevo tardivamente appreso della sua indiscutibile italianità solo grazie ad una coinquilina spagnola (la quale, di fronte al mio stupore, bizzarramente citava a sostegno dell’inequivocabile origine italiana della panna cotta il fatto che “cotta” sia scritto con la doppia t, lasciandomi ancora più perplessa).
La panna cotta è, ci raccontano i libri e i blog di cucina, facilissima da preparare con pochi, semplici ingredienti naturali. Tanto facile che non ci sono scuse per comprare quelle orripilanti panne cotte nel banco frigo del supermercato o quelle tristissime buste contenenti inquietanti “polverine” da addizionale alla vostra panna fresca per trasformarla in una mattonella bianca artificialmente aromatizzata. Tanto facile da preparare, quanto… difficile da ribaltare, però (si noti come, dopo svariati esperimenti falliti, i fotografi collaboratori dell’autrice di questo post abbiano infine deciso di desistere dall’impresa e presentarla in tazza).
La giusta quantità di gelatina (per non parlare degli altri addensanti) necessaria per sorreggere la panna cotta senza che questa frani, si liquefaccia, gelatinizzi perdendo la sua pannosità o sia esteticamente compromessa da una patina traslucida alla base rimane evidentemente un segreto che i pasticceri esperiti si tengono ben stretto. Il che, appunto costituisce un’ottima scusa per continuare ad approvvigionarsi delle imbarazzanti panne cotte confezionate o in bustina del supermercato, che del resto ci ricordano tanto le amate (anche se un po’ sintetiche) panne cotte pizzaiole della nostra infanzia.