Milano: May-Day Parade. Foto Roberto Gimmi.
‘Ma se ne sentiva davvero il bisogno?’ Eccola lì la domanda inquietante, penzolare come una scimitarra sopra la testa del povero blogger. Si sentiva davvero il bisogno di un nuovo blog di studi italiani? Naturalmente la risposta definitiva potranno darcela soltanto i numeri: quanti studiosi decideranno di collaborare al blog? E quante persone gli daranno ogni tanto un’occhiata, o lo seguiranno con commovente, quasi religiosa, devozione? Per il momento posso solo dare una risposta personale, provvisoria: io sì, ne sentivo davvero il bisogno! Le ragioni sono tante, ma vorrei considerarne almeno tre.
La prima, più generale, ragione è la crisi attuale delle materie umanistiche, che sta soffocando non solo il pensiero critico su un mondo sempre più in crisi, ma anche la disponibilità ad ascoltare e comprendere l’altro. Quando per esempio quasi giornalmente sento addurre ragioni di budget per non tanto velate minacce di tagli all’insegnamento delle lingue nelle università australiane e britanniche, mi chiedo se tutti noi studiosi stiamo facendo davvero il necessario per far capire la centralità delle materie umanistiche e dello studio delle lingue nel mondo che andiamo costruendo (o dovrei forse dire ‘nel mondo che andiamo distruggendo’). Parte del nostro sforzo di restituire centralità alle materie umanistiche e allo studio delle lingue deve necessariamente passare per le nuove tecnologie di comunicazione, che ci danno un’opportunità straordinaria di esserci, di farci ascoltare.
La seconda ragione è il bisogno, credo condiviso da molti, di uno spazio di incontro e scambio fra gli studiosi di italianistica in Australia e Nuova Zelanda. Uno spazio che possa però diventare anche strumento di una comunicazione con studiosi in altre parti del mondo. Uno spazio che preservi il rigore e il valore della ricerca, ma goda al tempo stesso di una libertà e di una leggerezza che i muri delle istituzioni accademiche e la seriosità di riviste e convegni raramente consentono.
Infine una ragione personale. Riflettendo sulla Storia, come genere letterario, Milan Kundera si chiedeva che fine fa il senso del comico, non come semplice contrappunto al tragico, ma in netta contrapposizione a questo, come affermazione vitale della mancanza di senso della vita. In altre parole, si chiede Milan Kundera, perché la Storia è sempre così seria? Una ragione potrebbe essere il fatto che i politici, i generali e gli accademici tendono a prendersi troppo sul serio. Sarebbe bello, mi dico, se questo Blog potesse diventare un’occasione anche per raccontare quanto della vita e della società rimane spesso escluso dalla Storia e da altre discipline accademiche.