Edda Orlandi Università degli Studi di Milano
La mattina del 9 dicembre mi sveglio con almeno questa certezza: oggi non succederà niente. Di sicuro, non ci sarà la Rivoluzione. Al limite, giusto un po’ in Sicilia.
A Milano, infatti, non accade nulla. Il giorno dopo, mentre arrivano notizie di blocchi e disordini da varie zone d’Italia, nemmeno. Ansa riporta che circa 200 manifestanti hanno occupato Piazzale Loreto, bloccando per un po’ il traffico. Mercoledì 11 alle 13.35 anche Milano inizia a fare notizia: un pullman di tifosi dell’Ajax, arrivati in città per la partita con il Milan che ci sarà in serata, è stato fermato dai manifestanti. Alcuni tifosi sono scesi per fare sentire le loro ragioni e ci sono stati “tafferugli”.
Arriviamo all’altezza di Piazza Oberdan, alla fine di Corso Venezia, verso le 14.30. La manifestazione sta risalendo il corso, da Piazzale Loreto si dirige verso il centro. La prima cosa che noto: sembrano pochi. Pochissimi e strani, in questa strada che sembra così larga e così lunga oggi che è l’11 dicembre e non il 25 aprile. Il tempo di trovare dove legare la bici, però, e stanno già tornando indietro. Qualcuno dal corteo ci invita a non stare lì fermi, ad unirci alla protesta, che cosa stiamo lì a guardare mentre passa la Storia.
La seconda: sì, lì in mezzo ci sono proprio quelli lì che mi aspettavo di trovare: quelli lì brutti e cattivi, che sembrano (sono) fascisti. Ma non solo. C’è tutto e il contrario di tutto. Ci sono ragazze infreddolite e affamate (sono in piazza da questa mattina presto) che ad un certo punto decidono di andare a mangiare qualcosa: “ciao, ci vediamo dopo!” mi dicono sorridendo e agitando la mano mentre se ne vanno. Una è una parrucchiera che è a casa da due anni: i suoi titolari hanno dovuto chiudere per “la concorrenza dei cinesi. E come si fa ad assumere un lavoratore, poi, se devi pagare il doppio del suo stipendio per le tasse?” C’è una giovane mamma disoccupata venuta apposta da Bergamo: “meno male che mio marito lavora, ma ci sono persone che non sanno cosa dare da mangiare ai loro figli”. C’è chi racconta la paura che si è presa questa mattina di fronte ai tifosi dell’Ajax: “all’inizio ho pensato fossero quelli di Forza Nuova, grossi, vestiti di nero… chissà cosa succederà stasera… quelli di San Siro sono stati avvisati…” C’è un ragazzino dell’istituto tecnico che mi racconta come la sua scuola si sia unita alla protesta, gli altri ora se ne sono andati ma lui è rimasto: ce l’ha su con Napolitano, ma anche con Berlusconi e con Letta, perché suo nonno è morto di tumore a 60 anni, per i rifiuti tossici occultati nella campagna napoletana. Tutti dicono di essersi uniti alla protesta per averne letto su facebook, su nocensura.com. Ce n’è un paio che potrebbero essere appena usciti da un centro sociale. Ce n’è un paio che potremmo essere noi. C’è qualche bandiera dell’Italia. Ci sono persone con cartelli appesi al collo: “Italia vendesi, telefonare Letta”. Glieli hanno dati gli organizzatori della manifestazione. C’è l’indignazione per la fiducia che viene votata in questo momento. Per questi parlamentari che non abbiamo votato… quando cerco di far presente che no, almeno i parlamentari li abbiamo votati, mi si risponde con confusione: sì, ma quelli lì, i capi… chi li ha messi là?
Si canta la prima strofa dell’Inno d’Italia, oppure si urla Italia! Italia! come allo stadio. C’è anche “l’Italia degli Italiani!” Ci sono tante lamentele contro gli italiani pavidi che non capiscono e non si mobilitano. Ma anche contro i giornali e la televisione che sminuiscono la protesta e parlando impropriamente di tafferugli, che invece questa è una manifestazione pacifica. Ci sono tanti smartphone che fotografano, che riprendono. C’è molto pietismo da Buon Cuore Italico abilmente dispiegato di fronte alle telecamere: i manifestanti che si precipitano a donare monete ad una mendicante con le stampelle, al grido di “solidarietà con i poveri!”; i manifestanti che fanno passare un’auto (siamo oramai in piazzale Loreto, dove bloccano il traffico a singhiozzo) perché è un nonno che sta portando la nipotina dal medico; i manifestanti che invitano un attempato motociclista bloccato a spegnere la moto, perché proprio dietro di lui c’è un ragazzo in carrozzella che sta respirando il suo gas di scarico. C’è la Costituzione: un cartello che parla del futuro dei nostri bambini e dell’articolo 3, una maglietta che rammenta l’articolo 21. C’è la rivendicazione della “sovranità monetaria”. C’è la frustrazione dei pochi che sono rimasti a presidiare il piazzale mentre il corteo procedeva lungo Corso Buenos Aires: c’erano quattro telecamere lì, prima, a riprendere la piazza vuota. Ci sono i poliziotti stanchi, annoiati ed infreddoliti, ignorati. C’è la telecamera cui si grida che farebbero bene a piantare le tende, perché loro da lì non si muovono. E che viene immediatamente circondata da tanti che vogliono sentire cosa si dice, quando qualche manifestante viene invitato a dire la sua opinione. Nessuno si sottrae, in tanti vogliono dire la loro, spiegare agli italiani come stanno davvero le cose, ma di fronte alle domande dei giornalisti su quali siano i problemi, sono esasperati: sono talmente tanti che non si riescono neanche ad elencare… loro che sono giornalisti non lo sanno quali sono i problemi?!
Ci sono io a disagio lì in mezzo, che non capisco, non riesco a capirli. Chi sono? Cosa c’è dietro? Cosa vogliono? Che questo governo vada a casa. E poi? E poi almeno questo governo che non abbiamo votato, che ha aumentato ancora le tasse, se ne va a casa. Ci sono io che mi sforzo di capire, che non partecipo ma non riesco neanche a provare insofferenza verso questa rabbia stanca che forse non è neanche rabbia, è solo mesta rassegnazione, l’essere lì piuttosto che stare a casa, in questo presidio sempre più sfilacciato da cui iniziano a levarsi voci di protesta contro la disorganizzazione del movimento. Ci sono io che chiedo e mi stupisco di come tutti abbiano voglia di parlarmi, di condividere questo senso di impotenza, e nessuno che mi sospetta, nessuno che mi accusa di essere una infiltrata, una giornalista, una comunista, una che sta dalla parte dei potenti, una sociologa o chissà che, con tutte quelle domande. C’è un fantoccio impiccato ad un palo, con un cartello che lo indica come un disoccupato, ché potremmo essere ciascuno di noi, domani: un finto cadavere esposto che mi sembra quasi sacrilego, in questa piazza. Però attorno a me nessuno lo degna, non dico di uno sguardo, ma nemmeno di una fotografia con lo smartphone.
C’è il blocco che oramai non è più un blocco. C’è un capannello che si riunisce attorno a quello che viene additato come l’organizzazione della manifestazione, un ragazzetto con una giacca arancione e lo sguardo disorientato. Un altro manifestante, che si dice un attivista di critical mass, spiega che bisogna ispirarsi a loro, ci vogliono quattro regole, chiare, e chi le sa spiega agli altri come fare. L’organizzatore lo incarica, implora, quasi, di aiutarlo a stilarle. C’è un uomo più anziano che dice che la moneta dell’euro (ne ha tirata fuori una dal portafoglio) ti fa male solo se te la lanciano qua, in testa, e l’attivista di critical mass che risponde rabbioso di informarsi, di guardare su internet, che loro sono proprio lì per non avere più l’euro che ci ha rovinati. C’è la rivendicazione della completa apoliticità dell’assembramento. Ci sono tutti che alzano la mano quando si chiede chi se la sente di fare il portavoce, e poi si discute sul fatto che sì però il portavoce non deve essere visto come un capo, uno con il potere. È solo un portavoce. Ci sono due ragazze che si lamentano del fatto che ognuno si fa i suoi comizietti, e intanto il blocco non c’è più. C’è un tipo grosso, che va da questo ragazzino con la giacca arancione a chiedere cosa deve fare, che la gente si lamenta che non sa cosa fare, e lui gli risponde che quando si lamentano deve dire che “lo ha deciso la comunità”.
Decido che devo scappare perché ho bisogno di scrivere. Ma anche perché voglio scappare e basta.
Più tardi, mentre attraverso una Piazza Duomo quasi buia, mentre pedalo schivando le bottiglie rotte, le lattine e le pozzanghere di birra lasciate dai tifosi dell’Ajax, concludo che tutto quello che sarà successo oggi sarà solo che forse il Milan vincerà, o forse perderà. E mi sento triste per questi qui che non ho capito cosa facevano, cosa volevano, in quella piazza a prendere il freddo e a bloccare il traffico.